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Il Giornale dell'Architettura - Newsletter 119
11/01/2018
Buon anno e ben ritrovati nel 2018 con un ricco menù dopo la pausa delle festività.
Siamo tornati in Emilia per verificare gli esiti del Workshop Ricostruzione: da un lato, l'utilità di opere che rispondono a programmi ad alto valore civico; dall'altro, il rischio di architetture troppo patinate, e quindi siderali rispetto agli immaginari collettivi e al pragmatismo delle popolazioni di campagna.
A Parigi, invece, quella dell'Entrepôt MacDonald sembra in parte un'occasione sprecata: la notevole preesistenza costituita dal lunghissimo basamento richiedeva forse più unità che diversità; così, le megastrutture dei Metabolisti avrebbero ancora qualcosa da insegnarci… D'altronde, che nella ville lumière l'architettura stenti a tenere il passo del disegno urbano lo dimostra anche l'operazione del Grand Paris.
Restando in Francia, Francesco Karrer riflette intorno alle potenzialità di applicazione di una legge legata alle opere pubbliche che, nel passaggio dal permesso di costruire a quello di innovare, problematizza i rapporti tra norma, deroga e responsabilità progettuali e autorizzative; una sfida che vale comunque la pena di raccogliere.
E, sempre sul fronte dell'esercizio professionale, Aldo Norsa commenta la top 150 delle firme italiane della progettazione, ribadendone il nanismo e le fatali necessità d'espansione all'estero. Una partita, quest'ultima, che ha giocato Gregotti e Associati, oggetto della mostra milanese tanto celebrativa quanto "neorealista" nel rifiutare gli effetti speciali dell'allestimento e della veicolazione dei messaggi.
Infine, a partire dagli esiti del Premio Baffa-Rivolta, spazio a una ricognizione sul social housing attraverso vari riconoscimenti internazionali. Per l'Italia va tuttavia rilevato che, dopo il celebrato intervento di via Cenni a Milano, quasi più nulla si è visto sotto il profilo dell'innovazione della progettualità architettonica.
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