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Il Giornale dell'Architettura - Newsletter 163. Ferrara non è in Canton Ticino
24/01/2019
Avremmo voluto soffermarci sul carattere precipuo della modernità in Canton Ticino (dove, per governare le trasformazioni territoriali, o per dirimere questioni sottese dal progetto di architettura, s'indicono referendum popolari, in genere al momento giusto), come maturazione culturale necessaria della condizione di avanguardia, così come ci racconta Alberto Caruso, fondatore e per vent'anni direttore di «Archi», rivista della Società Ingegneri e Architetti svizzeri, con il quale siamo lieti di avviare un osservatorio critico oltre il confine di Como-Chiasso. Oppure, avremmo voluto soffermarci a riflettere su come stia cambiando il concetto di memoria in rapporto alla sua celebrazione nello spazio, come sottolinea Luca Zevi in vista della Giornata del 27 gennaio.
Invece, ci dobbiamo occupare delle tragicommedie e farse di casa nostra, a partire dalle beghe nella politica dei Beni culturali siciliani in merito all'istituzione dei parchi archeologici.
Ma il best of va ovviamente alla vicenda del Palazzo dei Diamanti a Ferrara, gravissima nel metodo e nel merito. Nel metodo perchè crea un precedente, con la messa in discussione in zona Cesarini di un iter, da parte del MiBAC, in precedenza concertato, approvato e ratificato dai suoi medesimi organi. Un totale ribaltamento di posizione che rende sempre più labile l'istituto dei concorsi di architettura, per giunta perpetrato direttamente da un ministro che, come quasi tutti gli altri suoi colleghi, vegeta all'ombra dei due vicepremier del Governo del cambiamento (per il quale, evidentemente, "un progetto vale uno" ma il concorso ne è invece un moltiplicatore). Vieppiù, stupisce che finora Alberto Bonisoli non avesse mai agito tanto d'imperio. Nel merito, ancora una volta si dimostra che la comunità degli architetti conta poco o nulla nel difendere le proprie ragioni, stroncata dall'invettiva di Vittorio Sgarbi che, in quanto a influencer, nel suo ambito non è secondo a nessuno. Così, sapendo parlare alla pancia del pubblico, in tempi di populismo imperante, ha buon gioco ancora una volta a demonizzare il contemporaneo (che, pure, dovrebbe rappresentare "l'essere del proprio tempo" di tutti noi). Ne esce drammaticamente sconfitta l'architettura tutta (paradossalmente, anche quella dei capolavori monumentali d'ogni tempo), come arte della mediazione. Urge severa autocritica da parte di tutti noi, che ci dedichiamo in vario modo alla causa.
Forse ce lo meritiamo, se nei giorni scorsi l'attore Lino Banfi è stato nominato dal vicepremier Luigi Di Maio rappresentante della Commissione italiana per l'Unesco (dove prima al suo posto sedeva Folco Quilici). Una risata ci seppellirà...
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