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Il Giornale dell'Architettura - Newsletter 339. Cattedrali nel deserto
17/11/2022
Consideriamo, come orizzonte di senso, due notizie non proprio marginali, rese note questa settimana, che riguardano il nostro pianeta. La prima c'informa che abbiamo stabilito un nuovo record di densità, sfondando il tetto degli otto miliardi d'individui: un miliardo in più rispetto al 2012, il doppio rispetto al 1974. Abitiamo dunque un mondo sempre più popolato ma sempre più diseguale. La seconda notizia, collegabile alla prima sempre per ragioni di densità, ha per fonte il Living Planet Report 2022 del WWF, secondo il quale, invece, negli ultimi 50 anni, il numero dei vertebrati (mammiferi, uccelli, rettili, anfibi e pesci) è diminuito mediamente del 69%. E ancora, sempre il WWF ci dice che nel 2020 la massa di tutti i manufatti artificiali realizzati dall’uomo ha superato la biomassa naturale, cioè la massa di tutti gli organismi viventi, dai vegetali ai microbi. E ancora, che la nostra attuale impronta ecologica supera di ben il 75% la capacità della terra di generare risorse e assorbire i nostri scarti: questo significa che viviamo come se avessimo a disposizione quasi due pianeti. Sono dati che si commentano da soli.
Fatta questa premessa, il Qatar si accinge a ospitare i Mondiali di calcio, ma ha già vinto quelli dell'architettura griffata (e probabilmente anche quelli dell'arte contemporanea). Questa la lista sommaria dei nomi che, più o meno recentemente, hanno lavorato nella capitale Doha (132 kmq, 1,4 milioni di abitanti) e dintorni: Allies & Morrison, Foster, Hadid, HOK, Isozaki, McAslan, Nouvel, OMA, Pei, Pelli, UN Studio (prossimi arrivi, Aravena e Herzog & de Meuron). Lo stato arabo sembra invece più indietro (molto più indietro) nel Mondiale dei diritti umani, come risaputo a seguito di alcune inchieste giornalistiche internazionali, e come ribadito dal libro di Valerio Moggia La coppa del morto, del quale, per gentile concessione dell'editore, riportiamo alcuni stralci. Così, dei sempre più sfavillanti e fotogenici stadi il cui cantiere è magari costato la vita alla manodopera sfruttata proveniente da paesi poveri, preferiamo dimenticare il paradosso dell'aria condizionata all'aperto nelle poltroncine degli spalti, e considerare invece l'approccio dello stadio 974, assemblato con materiali in prevalenza di riciclo, soprattutto container, e destinato ad essere poi smontato a fine evento. Al solito, le sperimentazioni più interessanti si registrano spesso nella condizione dell'effimero e del temporaneo.
Cerchiamo allora di consolarci guardando alla Casa della danza di Helsinki: intervento iconico dalla potenza ermetica, che nella dicotomia tra esterno e interno ben interpreta un contestualismo nordico. Tuttavia, anche nel cuore della civilissima capitale della Finlandia, i destini urbani pubblici non sembrano più così floridi (e, perciò, occorrerà tornarci su).
Allora, a proposito di spazio pubblico urbano, riponiamo l'estrema consolazione nei confortanti esiti dell'omonimo Premio europeo promosso dal Centro per la cultura contemporanea di Barcellona.
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